AnnibalCaro

 

Gli amori pastorali di Dafni e Cloe


Autorizzazione alla pubblicazione gentilmente concessa dalla Fondazione Carima di Macerata, detentrice di tutti i diritti editoriali.

Presentazione di Giuseppe Sposetti - ex Presidente della Cassa di Risparmio della Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata

Con questo quarto volume, sempre dettato dai criteri che hanno spinto la Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata a dare alle stampe opere di letteratura di grandi scrittori in genere poco note al pubblico, presentiamo Gli amori pastorali di Dafni e di Cloe.
Autore del testo possiamo dire fu il maceratese Annibal Caro, nato a Civitanova Marche nel 1507 e deceduto in Roma nel 1566.
Abbiamo detto che autore del testo fu il nostro quasi concittadino anche se si tratta di una versione dall'originale scritto da Longo Sofista. Chi conosce Annibal Caro attraverso la notissima traduzione dell'Eneide sa perfettamente quale spirito inventivo egli avesse: di qualunque testo facesse traduzione essa appariva come opera nuova, non solo perfettamente leggibile, ma avvincente. Del resto il cosiddetto traduttore libero deve far comprendere, attualizzandolo, spirito e contenuto dell'originale. Con ciò non si vuole assolutamente sottovalutare il lavoro di tutti coloro i quali per professione traducono testi di letteratura straniera aderendo quanto più possibile all'originale.
Ecco perché Gli amori pastorali di Dafni e di Cloe possono tranquillamente essere considerati il primo romanzo italiano.
Un romanzo divertente sotto tutti i profili, leggermente e soavemente ironico ed erotico ma tutto permeato da una delicatezza estrema, onde anche quello che a prima vista potrebbe apparire argomento "scabroso" (si fa per dire), diverte.
Non sto qui a raccontare le vicende più disparate che si presentano in questo romanzo, ma dirò solo che in esso si va tranquillamente, e attraverso passag-gi sempre avvincenti, da Carolina Invernizzio a Peynet, al "... e vissero felici e contenti".
Ad illustrare il libro è stato chiamato un grande artista italiano noto pressoché in tutto il mondo: Marco Tullio Altan.
Raccontava Stefano Benni in un grande settimanale di attualità culturale, letteratura, storia, arte e spettacolo (si veda "Tuttolibri" del 19 gennaio 1991) che la morale di Altan è quella di un narratore. Tutti conoscono quest'uomo per le sue vignette altamente satiriche in cui il cosiddetto corsivo politico o surreal-politico, la battuta puro stile cabaret e l'aforisma raffinatissimo (sono sempre parole del Benni) non hanno uguale neanche tra gli scrittori professionisti.
Altan è anche l'uomo che ha inventato il personaggio della "Pimpa", che ha disegnato giocattoli per l'infanzia; è l'uomo capace di studiare a fondo e comprendere il grande e il piccolo evento: l'adulto e il bambino. Di poche parole, egli racconta quello che è obiettivamente vero.
Con queste illustrazioni, che nella loro schietta sincerità sono non solo adeguate al libro ma, aggiungiamo, anche di una castità che supera la morale, giocate con elementi tutti da osservare e tutti da considerare, allusive, concrete, coloratissime, il libro si arricchisce ancora di più e diventa un qualcosa da leggere e da osservare.
Come di consueto, l'opera è accompagnata da un saggio introduttivo dello scrittore Edoardo Sanguineti.
Ho già detto che la Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata vuole rivalutare il libro illustrato; oggi ne viene fornito ulteriore esempio. Aggiungo solo che si è scelto Annibal Caro per tributare un nuovo omaggio alla nostra provincia tanto ricca di cultura quanto degna di essere ricordata. Annibal Caro civitanovese è quindi una delle glorie che non poteva essere dimenticata.


Dal saggio introduttivo di Edoardo Sanguinetti: "Preludio ad una pastorale"

Nel lungo inventario della biblioteca e dei beni di Annibal Caro, steso nel novembre 1578, a dodici anni dalla sua morte, si registravano tra l'altro, in una sezione medesima («nella camera di sopra una scantia grande da libri»), «un libro di quattro ragionamenti pastorali», «un libro in quarto di mano del Caro, col titolo di sopra Longi Pastoralium», «un libro di mano del Caro, quattro ragionamenti pastorali». Si trattava, naturalmente, dell'inedita traduzione del Dafni e Cloe di quel Longo (se pure Longo fu il suo nome, del che si è anche dubitato), che dal 1605 appena fu cognominato Sofista, e che pare assegnabile, in assenza di ogni notizia, al secondo secolo. Con una libera ricreazione, ma in emulazione puntigliosa, il Caro aveva annesso alla nostra letteratura, come testo affatto suo, e dunque affatto nostro, quello che, per lo più, ancora si considera come il maggiore tra i romanzi greci a noi pervenuti (ma Leucippo e Clitofonte di Achille Tazio riuscirà attivo negli Straccioni), e che ha costituito nei secoli il modello primario di ogni narrativa pastorale e arcadica (un'Arcadia trasferita in Lesbo, e di qui asportabile indefinitamente), e anzi, se vogliamo credere a Goethe, un capolavoro della letteratura universale. Goethe confidava a Eckermann, in effetti, d'averlo letto e ammirato senza tregua, come opera in cui «intelligenza, arte e buon gusto raggiungono il più alto culmine, e di fronte al qua-le anche il buon Virgilio deve cedere un po'. Il paesaggio è del tutto nello stile del Poussin, e con pochissime linee appare perfetto come sfondo ai personaggi». In altra occasione, aggiungeva che nelle pagine di Longo «sembra di scorgere le pitture di Ercolano, come anche queste agiscono alla loro volta sul libro e vengono in aiuto, nel leggere, alla nostra fantasia». In un misurato giro di figure e di eventi, sarebbe rappresentato un intiero mondo di suprema delicatezza di sentimento. «Si fa bene a leggerlo una volta all'anno, per tornare sempre ad impararvi e riprovare l'impressione della sua grande bellezza». Se il volgarizzamento del Caro dovette attendere, per passare alle stampe, sino al 1784 dell'edizione bodoniana, da allora gli italiani hanno letto pressoché in esclusiva questo Dafni e Cloe, immergendosi così in una tarda grecità squisitamente decorativa, passata al filtro di una assai spessa, ma piuttosto geniale, lente cinquecentesca. Il che rimane ancora poco, se si pensa che la stessa Eneide è stata per gli italiani, sopra i banchi e fuori dei banchi scolastici, possiamo dire sino a ieri, quella in versi sciolti del nostro Commendatore (egualmente postuma, ma disponibile dal 1581), con anche più rilevanti conseguenze.
[ ... ]

[Torna indietro]

 

 


© Centro Studi Cariani - Civitanova Marche (MC) - Italia - Tutti i diritti riservati