AnnibalCaro



ANALISI TRANSAZIONALE DELLE VICENDE AMOROSE

NE « GLI STRACCIONI » DI ANNIBAL CARO:

note al testo.


 


 

[ 1 ]

M. Mizzau, Eco e Narciso, Torino 19882, p. 53. Questo saggio propone un'analisi psicologica della comunicazione uomo-donna: nell'universo della coppia, la ricerca di autonomia da parte di 'lei' si realizza solo attraverso il confronto e lo scontro verbale con l'uomo: Eco esce dalla passività rispetto a Narciso quando comincia a parlare autonomamente.

 

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[ 2 ]

R. Barthes, Fragments d'un discours amoureux, Parigi 1977, p. 243.

 

 

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[ 3 ]

L'aggettivo non ha valore negativo, né è sinonimo di « banalità » — parola-chiave del ritratto che del Caro, come uomo e come artista, fa F. Sarri (« uomo della mediocrità, incapace di alti voli, come di cadute profonde»; «al Caro mancò [...] un forte sentire»; «ebbe una fantasia capace di rendere le immagini più che di crearle»; «temperamenti simili [...] non son fatti per la bile né per le forti passioni »), in F. Sarri, A. Caro, in I Minori, voi. II, Milano 1969.
Né tantomeno intende contestare la tesi di N. Borsellino (Caro e la realtà, in Rozzi e Intronati, Roma 1974, pp. 190-191) per il quale il testo, «pur non sembrandolo », è originale per «le caratteristiche romane e familiari». Gli Straccioni, «a differenza di tutta la varia produzione comica rinascimentale di tipo classicistico, Mandragola compresa, non sfruttano gli schemi della consueta tipologia plautina o boccaccesca, la quale era [...] uno strumento utile per unificare i procedimenti espressivi elaborati nei vari centri d'attività drammatica nella penisola e per rendere accettabile quella comicità dovunque, presso il pubblico, cortigiano o borghese che fosse, delle città d'Italia». Invece «i personaggi del Caro hanno [...] non solo quel colorito locale [...] ma anche, quasi tutti, una precisa identità romana, cittadina».

 

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[ 4 ]

N. Borsellino, Ibidem, p. 195.

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[ 5 ]

«Gli Straccioni rivelano la mano di un letterato accorto ma anche freddo, preoccupato di dare equilibrio e armonia di struttura alla commedia [...] senza lasciarsi trascinare dal gusto della caratterizzazione tipologica [...]. Tipi perciò e non veri e propri individui teatrali [...]: gli innamorati in continua ansietà per il meccanismo di equivoci e impedimenti che ritarda il felice epilogo del loro amoroso contrasto [...]. Dietro figure e azioni impossibili l'infinita varietà dei lineamenti umani, il segno individualizzante del personaggio» (N. Borsellino, ibidem, pp. 80 e 67).

 

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[ 6 ]

Valga per tutti il giudizio del Croce, sulla scia del quale la maggioranza dei critici si è mossa. «Dalle commedie [...] o sensuali o amorose o pessimistiche o tali che toccano successivamente varie corde, si distinguono Gli Straccioni [...] che hanno ispirazione etica, congiungendo al dramma dell'amore quello degli affetti superiori, la fedeltà, la purezza, l'onore » (Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 19675, p. 278). Un ragguaglio di questa lunga tradizione critica in G. Ferroni, «Mutazione» e «riscontro» nel teatro di Machiavelli, Roma 1972, p. 195, n. 1.

 

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[ 7 ]

Vd. il saggio di G. Ferroni, Gli Straccioni del Caro e la fissazione manieristica della realtà, cit., pp. 195-230,
n. 2.

 

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[ 8 ]

E' l'attualizzazione del modello plautino - terenziano secondo una precisa morfologia che costituisce l'ossatura della commedia: (1) la scena mimica: la commedia si svolge a Roma, e i borghesi ne sono protagonisti; (2) il testo si divide in scena e atti, secondo la prescrizione dell'Ars poetica di Orazio, per la quale il testo teatrale doveva comprendere cinque atti; (3) è prevista una drammatica che si riassume nel conflitto generazionale tra vecchi e giovani sul leit-motiv dell'amore ostacolato; (4) la tipologia è fissa: servi e padroni che agiscono in funzione di una morale adeguata all'opinione corrente: innamorati — sia giovani che vecchi (questi disapprovati perché trasgressivi) — servi parassiti, straccioni; (5) creazione linguistica in fatto di battute e soliloqui secondo il modello latino (N. Borsellino, Morfologie del comico nel teatro italiano del Cinquecento, «Studi di letteratura francese», voi. 177-X) (Commedia e comicità nel Cinquecento francese e europeo), pp. 14-16 dell'estratto. Sullo stesso argomento, id., Il « Decameron » teatrale del Rinascimento, in Boccaccio: Secoli di vita (Atti del Congresso Internazionale su Boccaccio 1975 - Università di California, Los Angeles 17-19 Ottobre 1975), Ravenna 1977.

 

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[ 9 ]

II testo che ho seguito è quello curato da N. Borsellino, in Commedie del Cinquecento, Milano 1967, voi. II.

 

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[ 10 ]

«Al Caro spetta [...] un posto non modesto nella cultura del Rinascimento. La sua maliziosa familiarità con i romanzi ellenistici, la sua opera di elegante traduttore degli Amori di Dafni e Cloe di Longo Sofista, avevano introdotto nell'ambito della letteratura amena il gusto alessandrino dei casi complicati, il compiacimento per le avversità e le insidie della sorte e per quella sentimentalità morbida e lasciva che il clima morale della Controriforma favoriva» (N. Borsellino, Rozzi, cit., p. 80). Per un'analisi della commedia in relazione al romanzo greco, cfr. M. Sterzi, Studi sulla vita e le opere di Annibal Caro, III, «Atti e memorie della regia Deputazione di storia patria per le Marche», IX, 1913.

 

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[ 11 ]

«E' certo che fondamentalmente [...] il mondo interno del teatro comico rinascimentale è boccaccesco. Il Decameron offriva alla commedia un repertorio di beffe, intrighi e inganni amorosi, in mezzo al quale i commediografi sceglievano gli spunti di maggiore attinenza teatrale », essendo l'opera « la più potente e varia immagine di vita quotidiana, di quel mondo cittadino e di quei costumi borghesi che la commedia si proponeva di riflettere » (N. Borsellino, Rozzi, cit., pp. 60 e 62.

 

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[ 12 ]

«Nel Cinquecento [...] il prologo acquista una sua spiccata fisionomia di 'numero' teatrale: è il momento propiziatorio dello spettacolo, dentro il quale esso ha assunto piena autonomia» (p. 65).

 

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[ 13 ]

La commedia « non nasce come quella moderna da una 'condizione', ma da una 'situazione'; non è la proiezione scenica di un contrasto tra individuo e individuo, individuo e società e famiglia ecc., come nel teatro moderno, ma la rappresentazione di un momentaneo sovvertimento dell'ordine naturale degli eventi che esigenze di una comune moralità tendono a ricomporre » (ìbidem, p. 53).

 

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[ 14 ]

N. Borsellino, Morfologìa del comico, cit., pp. 11-12.

 

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[ 15 ]

"Marabeo. E' tornato il padrone! Pilucca. Il padrone è tornato sì."
"Marabeo.
Così sì che romperò il collo davvero."
"Pilucca.
Odi. Io ho commissione di rivederti i conti. Siamo d'accordo insieme, se non che [...] tu m'intendi" (IV, I).

 

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[ 16 ]

L'altro nome della fanciulla, quello legato all'identità di prigioniera è Agatina, come pure il suo innamorato Tindaro, «per altro nome Gisippo», ci informa l'autore presentando i personaggi.

 

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[ 17 ]

II Caro non «inventò — questo è certo — i bizzarri eponimi della commedia, i due fratelli di Scio, Giovanni e Battista Canali, detti gli Straccioni. Che essi fossero frequentatori assidui e inseparabili delle vie e piazze di Roma, dove la miserabile e pittoresca foggia dei loro abiti e la loro incuria di 'zazzeruti' non passavano inosservate, è lo stesso Caro a dircelo proprio all'inizio della commedia, quando in veste di prologo si richiama al ricordo ancora recente che ne conservavano gli spettatori e che anzi la sopravvivenza di uno dei due fratelli alimentava» (N. Borsellino, Caro e la realtà, in Rozzi, cit., p.d 193).

 

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[ 18 ]

Demetrio — parlando con Gisippo — ci informa: «Tolta che noi l'avemmo, giunsero lettere del padre e del zio di qua d'Italia che vi fosse sposata; e un giorno di più che indugiavamo, non bisognava rapirla» (I, III).

 

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[ 19 ]

E' chiaro il bisticcio di «alto» con 'altiero', 'brillo'.

 

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[ 20 ]

«Il pazzo Mirandola [...] entra in commedia dopo aver fatto capolino, sempre come demente, in una lettera che lo scrittore inviava il 1° luglio 1535 a Luigetto Castravillani e dove il destinatario, al seguito di Carlo V nell'impresa di Tunisi, è scherzosamente pregato di reperire in Africa un'ampollina di senno. 'Ne vorrei — scrive il Caro — un'ampollina ancor per me, per poter descrivere le vostre cose, e se vi pare di ricuperare il senno del Mirandola, credo che vi tornerebbe molto a proposito contra i Turchi Bilurchi' » (N. Borsellino, Caro e la realtà, in Rozzi, cit., p. 192).
Mirandola ricalca il personaggio di Calandrino: tutti e due si credono tanto furbi da ingannare gli altri. Ma se quest'ultimo finisce vittima della sua crudele stupidtà, Mirandola, tenendo in bocca l'anello creduto miracoloso come l'altro la pietra filosofale, si prende solo i rimproveri del procuratore.

 

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[ 21 ]

Essi compaiono solo in questa scena, condotta sul gusto degli episodi furbeschi che s'inserivano nelle commedie, anche per la voga di zanni e attori buffoneschi, e destinate a prevalere col tempo, quando s'indebolirà la coscienza letteraria degli autori.

 

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[ 22 ]

«Befferemo questo imbecille». Castruccio è probabilmente deformazione scherzosa in nome proprio di castrone, imbecille.

 

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[ 23 ]

«La battuta ha sfumature ironiche e oscene: dare nell'ugna è espressione che attenua la portata dello scontro, e brachetta indica anche gli organi genitali » (N. Borsellino, nota al testo).

 

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[ 24 ]

«Neppure l'intelaiatura romanzesca della trama, nella sua doppia derivazione greco e romanza, altera l'evidenza cittadina di quell'ambiente e di quei tipi che il Caro indica al suo pubblico perché li riconosca e ne sorrida » (N. Borsellino, Caro e la realtà, in Rozzi, cit., p. 197). Anche A. Greco ha insistito, oltre che sul motivo del moralismo della commedia, anche su quello della 'romanità', in A. Caro — nel centenario della morte, Roma 1966, e ne La vita romana nella commedia del Rinascimento, «Studi Romani», 1945.

 

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[ 25 ]

Per questo tipo di analisi ho tenuto presente: E. Berne, A che gioco giochiamo, Milano 1985. Berne è uno psicanalista americano che postula l'esistenza del gioco come struttura del rapporto organizzativo e sociale; in esso individua le forze di tensione di un rapporto umano. Per una trattazione teorica dell'analisi transazionale, cfr. E. Berne, Transactional Analysis in Psychotherapy, New York 1961; id., The Structure and Dynamics oj Organization and Groups, Philadelphia-Montreal 1963 (in particolare i capp. 11 e 12).

 

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[ 26 ]

«La composizione degli Straccioni fu uno dei primi compiti che il Caro espletò per Pier Luigi Farnese, di cui era diventato segretario ». Se il Caro respinse sempre le richieste di realizzazione scenica, «questo era dovuto non solo alla coscienza del legame che l'opera aveva con un ambiente e un pubblico romano, ma soprattutto al riguardo verso il Farnese, considerati quasi proprietari di essa, certo non tanto esternamente quanto nel suo significato e nella sua direzione.
Dunque gli Straccioni, pur nella libertà concessa al genere comico, dovevano necessariamente sottintendere una direzione economiastica verso la famiglia farnesiana, o meglio un fine sia pur limitato di propaganda politica».
In particolare «quello che più scopertamente si rivela è il proposito di unmaggiore controllo giuridico dei fatti di violenza privata » secondo la logica di un progetto politico «in senso nettamente aristocratico, come cauta apertura verso le esigenze di giustizia di classi popolari e piccolo borghesi più soggette alle vessazioni e alle prepotenze dei nobili» (G. Ferroni, Gli «Straccioni » del Caro e la fissazione manieristica della realtà, cit., pp. 198-201).

 

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[ 27 ]

Dove sulla scia del Croce (Poesia popolare e poesia d'arte, cit.) F. Sarri ha intravisto « quanto di più puro, di più sano, si potesse aspettare da un commediografo del cinquecento. Paragonata a tante altre che allora pullularono [...] si potrebbe chiamare [...] casta addirittura. Nulla che offuschi il candore dei due che potremmo considerare [...] i protagonisti [...] Tindaro e Giuletta. Quegli col suo amore costante [...] questa, cara e amabile creatura, che sa resistere a ogni violenza, a ogni lusinga, a ogni sacrificio, per serbare intemerato al promesso suo sposo il fiore della propria verginità. Chi trionfa nella Commedia è l'amore, il sano amore, quello paterno e coniugale e il sentimento della compassione e della giustizia» (F. Sarri, A. Caro, cit., p. 1250).

 

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[ 28 ]

E' un sentimentale privo di volontà nella vita pratica, strumento docile in mano a Demetrio e Satiro. Nell'economia della commedia serve anche a far risaltare la loro furbizia. E' sempre in condizione psicologica di nullità. La sua figura riassume alla lontana due aspetti della tradizione amorosa letteraria: epos ed eros. Ma questo è più evidente nel personaggio di Giordano che con la sua irruenza ricalca il tipo del Miles gloriosus.

 

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[ 29 ]

N. Borsellino, Caro e la realtà, in Rozzi, cit., p. 193.

 

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[ 30 ]

Vale per questa scena — l'unica del genere in tutta la commedia — quanto N. Borsellino (ibid., p. 559) afferma a proposito del comico: «La commedia cosiddetta erudita o regolare riabilitò definitivamente, assumendola nell'intelaiatura classicistica dei suoi schemi, quella comicità laica e profana di fondo popolare che la Chiesa aveva per tutto il Medioevo respinto ai margini della società Cristiana».

 

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[ 31 ]

La preposizione non è solo causale, ma anche di vantaggio.

 

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[ 32 ]

A. Wilden, Comunicazione, in «Enciclopedia Einaudi», Torino 1978, p. 680.

 

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